Nell’ultimo anno c’è stata un’esplosione della Crypto Arte che ha quasi raggiunto il valore del mercato dell’arte tradizionale. Le opere di Crypto Arte sono opere in formato digitale: immagini, foto, video, audio o canzoni. Per essere vendute sono convertite in NFT, letteralmente “non-fungibile token”, ovvero “token non riproducibile”, oggetti virtuali non divisibili, che possono avere solo un rapporto univoco con l’opera che rappresentano.
Dunque chi acquista un NFT diventa proprietario di quel bene in formato digitale. I token digitali infatti funzionano come un contratto e tramite loro è possibile stabilire chi è il possessore dell’oggetto digitale. Sono simili a certificati di autenticità e sono registrati su blockchain, un registro digitale pubblico che non può essere modificato o manomesso. I Token oltre a fornire la prova della proprietà dell’oggetto digitale ne garantiscono anche la scarsità ed è soprattutto per questo che tutelano il mondo dell’arte. Di solito tutto ciò che è digitale può essere riprodotto all’infinito, ma con gli NFT non è così: i token permettono di distinguere le copie dall’originale e dimostrano, attraverso il registro blockchain, chi è il possessore.
Gli NFT tutelano, inoltre, l’artista. Ogni volta che viene acquistata un’opera digitale infatti gli artisti ricevono una percentuale che è insita nel contratto.
Gli NFT hanno cominciato ad invadere il mondo dell’arte lo scorso marzo, quando fu venduta all’asta per 69,3 milioni di dollari “The Last 5000 Days”, un’opera d’arte digitale, in formato Jpg, firmata da Mike Winkelmann, meglio noto come Beeple. Lo stesso artista rimase stupito dal valore per cui era stata acquistata la sua opera d’arte. Da quel momento la marcia degli NFT non si è più arrestata.
Tante celebrità si sono appassionate agli NFT, come Paris Hilton, Kim Kardashian, Ashton Kutcher e Gwyneth Paltrow. Molti vip, oltre ad investire in NFT già esistenti, si stanno anche cimentando in collezioni proprie.
Ma ci sono anche critiche a questa evoluzione del mercato artistico e riguarda gli interessi speculativi. Molti acquistano certificati digitali non per interesse o passione per l’arte ma perchè scommettono sul fatto che il loro valore crescerà e potranno essere venduti a una cifra ancora più alta.
Bolla speculativa o no quello che è certo è che, ormai, la Crypto Arte sembra entrata a tutti gli effetti nel tradizionale mondo dell’arte. Avrà un futuro luminoso? Ai posteri l’ardua sentenza.